Jimmy
Butler l’aveva promesso, dopo la sconfitta con Boston in
Gara 7, un anno fa. “Torneremo qui e la prossima volta vinceremo”. Detto,
fatto. 12 mesi dopo altra Gara 7 contro Boston, altra finale di Conference
dell’Est, a campi invertiti, e lui trascina Miami al trionfo al Garden. Gli
Heat lo sbancano dominando dall’inizio alla fine. Chiudendo la serie 4-3,
trasformando la beffa di Gara 6 in rabbia agonistica. Le Finals 2023 saranno
tra Denver e Miami, dunque. Giovedì 1 giugno, nella notte italiana, andrà in
scena Gara 1, in Colorado. Sarà Jokic contro Butler. Due campioni fuori dal
coro, eterni sottovalutati. Uno dei due si metterà l’anello al dito, il primo,
e si guadagnerà così un posto nell’olimpo, fra gli dei del mondo dei canestri.
Butler, certo. Per forza. Capobranco, eletto miglior
giocatore della serie. Ma l’impresa degli Heat, appena la seconda testa di
serie n. 8 di ogni epoca ad approdare alle Finals (dopo i Knicks del 1999), la
squadra col peggior attacco in stagione regolare, costretta al secondo play-in
per accedere ai playoff, ha dell’incredibile. Ha eliminato la favoritissima
Milwaukee, la squadra di Antetokounmpo, al primo turno. Poi quella del grande
mercato: i New York Knicks. Infine i Celtics pur dopo aver perso tre volte di fila,
capace di rialzarsi e dominare in trasferta. Coach Spoelstra, alla settima
finale, merita un monumento a South Beach, direttamente in spiaggia. Gli eroi
mai scelti al Draft, Gabe Vincent e soprattutto Caleb Martin, sono stati da
romanzo fantasy. E poi c’è Pat Riley, il grande burattinaio. Squadra operaia,
unita, che segue il leader di campo e quello in panchina. Mancavano gli
infortunati Herro e Oladipo da inizio serie, eppure zero scuse. Applausi.
Il crollo di Boston è repentino. Fragoroso. Fa rumore.
Per il secondo anno il treno giusto è passato davanti ai Celtics, incapaci di
prenderlo. Certo si erano messi in una buca profonda. Dannatamente profonda.
Sotto 0-3 nella serie. E adesso la statistica diventa 151 su 151: mai nessuno
in NBA ha saputo rimontare quel deficit in una serie playoff. Però avevano poi
saputo pareggiare i conti, quarta squadra di sempre a riuscirci, la prima ad
avere il match point in casa. E invece è diventato un supplizio di fronte al
proprio pubblico, semmai. Tatum si è storto la caviglia sinistra a inizio
partita ed è poi stato un fantasma, Brown è diventato una macchina da palle
perse come nelle sue giornate peggiori, Coach Mazzulla è Coach Mazzulla, un
esordiente modesto messo in panchina in fretta e furia come pezza per rimediare
al pasticciaccio Udoka. E Brogdon non stava proprio in piedi, infortunato in
modo serio. Le giustificazioni ci sono, però perdere di 20 punti in casa senza
essere mai in partita…sarà una batosta dura da digerire e valutare, guardando
avanti.
Boston comincia 0-12 da 3 punti. 22-15 Miami a fine
primo quarto, i Celtics tengono botta solo grazie ai rimbalzi offensivi. Butler
con 6 punti, la difesa a zona fa il resto. Boston non ha cura della palla,
peccato capitale, Tatum fa le smorfie ogni volta che atterra dopo l’elevazione,
la caviglia sembra condizionarlo, segna il primo canestro con 7’ da giocare nel
secondo quarto. Si rivede Brogdon, che aveva saltato per infortunio Gara 6. Ma
non è in grado di competere, così. All’intervallo è 52-41 Miami. 14 punti per
Martin, suo massimo ai playoff in carriera dopo 24’. Miami tira 8/16 da 3 punti
a metà gara. Una “trenata” di White, l’unico a non tradire, dimezza lo
svantaggio Celtics da 16 a 8 punti. Ma Lowry dalla panchina porta punti
“espressi” e Miami è avanti in doppia cifra dopo 36’, 76-66. Un 7-0 per aprire
l’ultimo periodo chiude la partita. Diventa una passerella trionfale per gli
Heat. Il Garden rumoreggia, sbigottito, deluso e inferocito. Con 2’ da giocare
Mazzulla richiama i titolari in panchina. Finita. Il miracolo è arrivato. Ma
non è la rimonta epocale di Boston. Lo griffa semmai Miami al Garden, dove
vince per la terza volta in questa serie. Da stropicciarsi gli occhi.
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