Los Angeles Lakers - Memphis Grizzlies 125-85 (4-2)
I Los Angeles Lakers spazzano via i Memphis Grizzlies
da questi playoff, concretizzando come dovevano il vantaggio di 3-1 maturato
nei primi due episodi casalinghi e minacciato da una complessa gara 5 persa in
Tennessee. I gialloviola hanno dominato mentalmente e fisicamente la partita
sin dalle prime battute, ma hanno scavato un solco profondissimo nella gara nel
3° periodo, segnando 41 punti a dei Grizzlies che non sembravano più volerci
credere davvero. É stata una prestazione convincente e strutturata quella dei
Lakers, con il magistrale Austin Reaves (11
punti, 8 assist, 6 rimbalzi e 2 stoppate) e un formidabile D’Angelo Russell (31 punti, 5/9 da tre) a creare ed ispirare dal
palleggio, ricamando il parquet con idee e imprevedibilità. E poi Anthony Davis (16 punti, 14 rimbalzi e
5 stoppate), spettacolare nel pitturato e decisivo nel momento di maggior
importanza della gara, a cavallo tra 2° e 3° quarto, e infine LeBron James, che ha chiuso con 22
punti, 6 assist e 5 rimbalzi mostrando la solita smisurata fiducia in se stesso
e, soprattutto, nei compagni. La squadra di coach Darvin Ham ha fatto vedere
forse la miglior partita della serie in termini di esecuzioni, ritmo e
contenuti espressi, esaltandosi attraverso una pallacanestro meravigliosamente
equilibrata e trascinante. Questi Lakers, se giocano con questa consapevolezza
e con questo sincronismo sul ruolo che ogni giocatore deve tenere in campo,
saranno estremamente pericolosi per tutti. Memphis ha steccato la prestazione
in maniera evidente e, malgrado qualche alibi, non scusabile. E non è giusto
parlare solo di singoli, anche se Ja Morant (10 punti, 6 assist, 5 rimbalzi e 3
recuperi) ha tirato 3/16 dal campo, Desmond Bane 5/16 e Jaren Jackson Jr. 3/12,
ma è più appropriato constatare il fatto che questa squadra non sia ancora
matura per recitare un ruolo da protagonista nei playoff. Perché dietro a tanta
spavalderia, e delle volte ce n’è bisogno in Nba per emergere, si nasconde,
nemmeno troppo bene, un po’ d’insicurezza nei propri mezzi. Ecco, i Grizzlies
si sono disuniti, hanno esposto le loro fragilità, e quando giochi contro
campioni come LeBron e Davis a questo livello non te lo puoi proprio
permettere.
Golden State Warriors – Sacramento Kings 99-118 (3-3)
E così, proprio quando tutti o quasi pensavamo che
gara 6 sarebbe stato l’ultimo ballo di Sacramento in questi playoff, perché
vincere a San Francisco, nell’inespugnabile Chase Center, non sembrava essere
nelle loro corde, ecco la sorpresa delle sorprese. I Kings battono i semi
imbattibili Golden State Warriors “versione casalinga”, pareggiano la serie ed
ora giocheranno la decisiva, e a questo punto storica, gara 7 nella loro arena
(palla a due alle ore 21:30 italiane di domenica 30 aprile). La prestazione
degli uomini di coach Mike Brown è
stata superlativa per approccio mentale, esecuzioni e coesione tra fase
difensiva e offensiva. Un prova identificativa e matura, che ha mostrato sin
dai primi possessi una squadra che mentalmente non si era ancora arresa e che
ha interpretato questa gara 6 nella maniera giusta, cioè vedendola come
un’opportunità da cogliere e non come una partita in cui non aveva nulla da
perdere, perché tanto, comunque fosse andata, sarebbe uscita a testa alta.
Eccezionale Malik Monk (28 punti, 7
rimbalzi, 4 assist e 2 stoppate), che ha freneticamente martellato i Warriors
in uscita dalla panchina con brani di pallacanestro essenziale e diretta.
Leader, invece, De’Aaron Fox, che ha
giocato sopra l’infortunio alla mano e ha dipinto a modo suo, mettendo la sua
firma in questo successo in maniera profonda: 26 punti, tirando 10/18 dal campo,
con 11 assist, 4 rimbalzi, 3 recuperi e 1 stoppata in 37’. E con un Domantas
Sabonis frenato dai falli personali (fuori a 5:17 dalla sirena del 4° periodo),
è uscito ancora un solido Keegan Murray, che malgrado percentuali dal campo non
troppo luminose, ha inciso con 15 punti e 12 rimbalzi. Golden State non è
riuscita ad imporsi e a creare le sue tipiche ondate di parziali che
solitamente spezzano lo spirito dell’avversario. I Kings ne avevano di più,
hanno ribattuto colpo sul colpo ogni volta, attaccando spesso loro per primi, e
si sono costruiti una doppia cifra di vantaggio che non hanno mai mollato per
nessuna ragione al mondo.
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