martedì 29 maggio 2018

Western Final Conference, gara 7: il solito terzo quarto, senza pietà. Warriors in finale!

Sarà ancora Golden State-Cleveland per il titolo, per il quarto anno consecutivo. I Warriors restano i tiranni del West, ma per mantenere il trono e guadagnarsi un nuovo rendez vous alle Finals con LeBron James hanno dovuto vincere gara 7 a Houston, a cui rimarrà il dubbio su come sarebbe andata se Chris Paul non si fosse stirato il bicipite femorale destro nel finale del quinto atto. Se i Rockets meritano comunque i complimenti, gli applausi e il trofeo della Western Conference se li prendono i Warriors, trascinati da uno strepitoso Steph Curry, decisivo con una partita da leader con 29 punti, 9 rimbalzi, 10 assist e 7/15 da tre. I Rockets non si sono arresi nemmeno quando CP3 ha alzato bandiera bianca, aggrappati al talento di James Harden (32 punti in gara 7, in una partita in cui avrebbe dovuto fare il LeBron e in cui ha dimostrato invece di non avere ancora raggiunto il livello "onnipotente") e alla fame di una squadra che è rimasta, come in gara 6, senza benzina nel finale, con i presagi avvertiti già nel terzo periodo.
Golden State è sopravvissuta al più importante colpo di stato da quando è seduta sul trono del West. A salvare i campioni è stato il talento. Quello di Curry, decisivo in gara 7, quello di Kevin Durant, 34 punti nell’ultima partita e 30.4 di media in una serie chiusa con canestri pesanti dopo un paio di passaggi a vuoto. Quello di Klay Thompson, decisivo con i 35 punti di gara 6 e importante nella sfida finale nonostante i 3 falli commessi nei primi 4’. Quello di Draymond Green, indispensabile tuttofare e anima di questa squadra. Steve Kerr ha avuto il merito di rimpiazzare l’esperienza di Andre Iguodala nelle ultime 4 partite con l’energia di Kevon Looney e la freschezza di Jordan Bell. I Warriors hanno vinto perché nel 3° quarto sono stati spesso irresistibili, rivoltando partite, come gara 6 e 7, iniziate soffrendo ma chiuse in trionfo.
Houston ci riproverà. Perché essere andata così vicina a realizzare la propria ossessione, battere i Warriors, non può che rafforzare la convinzione di potercela fare. E la squadra di Mike D’Antoni stava quasi per farcela, perché nelle vittorie di gara 4 e gara 5 aveva dimostrato di avere più fame, che con Paul leader a togliere ad Harden la pressione di essere sempre decisivo e la grinta difensiva giusta (su tutti PJ Tucker, lungo solo sulla carta che paga decine di centimetri ma che riesce sempre a fare la differenza vicino al canestro con la sua grinta) poteva davvero fermare i campioni. La sfortuna ha presentato il conto con l’infortunio di Paul: impossibile pensare di battere i Warriors senza di lui. Inevitabile, dopo aver giocato due primi tempi a tutta grinta come gara 6 e 7, finire la benzina e non sostenere l’urto Warriors nella ripresa.
Come in gara 6, Houston ha scoperto dopo la ripresa che le Finals erano un miraggio. Primo tempo tutto grinta, con Harden irresistibile (14 punti) nel primo quarto e Capela distruttivo vicino al canestro nel secondo, quando il vantaggio schizza fino a 15 punti prima di stabilizzarsi sul 54-43 all’intervallo. Golden State resetta, si affida alle triple di Curry e alla versione determinante di Durant (troppo molle nel primo tempo) per ribaltare tutto, mentre Houston infila una serie incredibile di 27 errori consecutivi dall’arco e lentamente finisce la benzina. Tucker spezza la maledizione a metà quarto periodo, ma i Warriors sono avanti 89-79 e i Rockets, per ricucire, avrebbero bisogno del carattere di Paul, che invece è in panchina ad imprecare contro la sfortuna. E allora sarà ancora Warriors-Cavs per il titolo: si comincia giovedì da Oakland, con Golden State super favorita e la sensazione che sia di nuovo LeBron contro tutti.
Perchè a questo punto solo il Re può fermare l'onda anomala californiana.

Houston Rockets - Golden State Warriors 92-101 (3-4)

Rockets: Harden 32 punti, Gordon 23 punti
Warriors: Durant 34 punti, Curry 27 punti

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