Sarà ancora Golden State-Cleveland per il titolo, per il quarto anno
consecutivo. I Warriors restano i tiranni del West, ma per mantenere il
trono e guadagnarsi un nuovo rendez vous alle Finals con LeBron James
hanno dovuto vincere gara 7 a Houston, a cui rimarrà il dubbio su come
sarebbe andata se Chris Paul non si fosse stirato il bicipite femorale
destro nel finale del quinto atto. Se i Rockets meritano comunque i
complimenti, gli applausi e il trofeo della Western Conference se li
prendono i Warriors, trascinati da uno strepitoso
Steph Curry, decisivo con una partita da leader con 29 punti, 9
rimbalzi, 10 assist e 7/15 da tre. I Rockets non si sono arresi nemmeno
quando CP3 ha alzato bandiera bianca, aggrappati al talento di James
Harden (32 punti in gara 7, in una partita in cui avrebbe dovuto fare il
LeBron e in cui ha dimostrato invece di non avere ancora raggiunto il
livello "onnipotente") e alla fame di una squadra che è rimasta, come in
gara 6, senza benzina nel finale, con i presagi avvertiti già nel terzo periodo.
Golden State è sopravvissuta al più importante colpo di stato da quando è
seduta sul trono del West. A salvare i campioni è stato il talento.
Quello di Curry, decisivo in gara 7, quello di Kevin Durant, 34 punti
nell’ultima partita e 30.4 di media in una serie chiusa con canestri
pesanti dopo un paio di passaggi a vuoto. Quello di Klay Thompson,
decisivo con i 35 punti di gara 6 e importante nella sfida finale
nonostante i 3 falli commessi nei primi 4’. Quello di Draymond Green,
indispensabile tuttofare e anima di questa squadra. Steve Kerr ha avuto
il merito di rimpiazzare l’esperienza di Andre Iguodala nelle ultime 4
partite con l’energia di Kevon Looney e la freschezza di Jordan Bell. I
Warriors hanno vinto perché nel 3° quarto sono stati spesso
irresistibili, rivoltando partite, come gara 6 e 7, iniziate soffrendo ma
chiuse in trionfo.
Houston ci riproverà. Perché essere andata così vicina a realizzare la
propria ossessione, battere i Warriors, non può che rafforzare la
convinzione di potercela fare. E la squadra di Mike D’Antoni stava quasi
per farcela, perché nelle vittorie di gara 4 e gara 5 aveva dimostrato
di avere più fame, che con Paul leader a togliere ad Harden la pressione
di essere sempre decisivo e la grinta difensiva giusta (su tutti PJ
Tucker, lungo solo sulla carta che paga decine di centimetri ma che
riesce sempre a fare la differenza vicino al canestro con la sua grinta)
poteva davvero fermare i campioni. La sfortuna ha presentato il conto
con l’infortunio di Paul: impossibile pensare di battere i Warriors
senza di lui. Inevitabile, dopo aver giocato due primi tempi a tutta
grinta come gara 6 e 7, finire la benzina e non sostenere l’urto
Warriors nella ripresa.
Come in gara 6, Houston ha scoperto dopo la ripresa che le Finals erano
un miraggio. Primo tempo tutto grinta, con Harden irresistibile (14
punti) nel primo quarto e Capela distruttivo vicino al canestro nel
secondo, quando il vantaggio schizza fino a 15 punti prima di
stabilizzarsi sul 54-43 all’intervallo. Golden State resetta, si affida
alle triple di Curry e alla versione determinante di Durant (troppo
molle nel primo tempo) per ribaltare tutto, mentre Houston infila una
serie incredibile di 27 errori consecutivi dall’arco e lentamente
finisce la benzina. Tucker spezza la maledizione a metà quarto periodo,
ma i Warriors sono avanti 89-79 e i Rockets, per ricucire, avrebbero
bisogno del carattere di Paul, che invece è in panchina ad imprecare
contro la sfortuna. E allora sarà ancora Warriors-Cavs per il titolo: si
comincia giovedì da Oakland, con Golden State super favorita e la
sensazione che sia di nuovo LeBron contro tutti.
Perchè a questo punto solo il Re può fermare l'onda anomala californiana.
Houston Rockets - Golden State Warriors 92-101 (3-4)
Rockets: Harden 32 punti, Gordon 23 punti
Warriors: Durant 34 punti, Curry 27 punti
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