Miami Heat - Cleveland Cavaliers 83-138 (0-4)
Onnipotenza o figuraccia. Dipende quale lato della
medaglia preferite guardare. I Cavaliers si confermano da Finals. Si sapeva, ma
siccome stagione regolare e playoff sono sport diversi, lo confermano a scanso
di equivoci. Frantumano gli Heat pur senza Darius Garland, fuori causa per la
seconda gara di fila per l’infortunio all’alluce del piede sinistro. Non
prendono rischi, perché dovrebbero, con questa differenza di “peso” rispetto a
Miami? Che impara quanto sia dura la vita senza Jimmy Butler. E rischia d’essere
solo l’inizio. Questi Heat non sono competitivi, a questo livello. Nessuno tra
Tyler Herro, Bam Adebayo e Andrew Wiggins è un uomo franchigia. Non c’è traccia
della decantata Heat Culture difensiva: senza i campioni diventano slogan
vuoti. Semmai ci sarebbe da chiedersi se ha senso una formula che permette a
una squadra come Miami, da 37-45 di record, di conquistare i playoff di
rincorsa, da 10ª testa di serie, passando dal play-in. Gli appassionati
meritano più di così.
Miami segna appena 33 punti nel primo tempo. Trentatré. La partita dura
sostanzialmente 12’, quelli del 1° quarto, chiuso da Cleveland avanti 43-17. Ci
sono troppe categorie di differenza tra le due squadre: come mettere sullo
stesso ring un pugile peso massimo e un peso piuma. Donovan Mitchell
imperversa, poi ci pensa Ty Jerome a finire il lavoro per i Cavs, al Kaseya
Center. 111-63 dopo 36’, con la tripla a segno di Jerome da metà a campo sulla
sirena del 3° quarto. Si vedono sul parquet, presto, le riserve delle riserve.
Il punteggio finale è una punizione feroce: 55 punti di differenza, i Cavs sono
stati avanti anche di 60. Tanto a poco.
Golden State Warriors - Houston Rockets 109-106 (3-1)
“Playoff Jimmy”. Butler conferma la sua reputazione
segnando 14 dei 27 punti personali nel 4° periodo, i 5 liberi che fanno la differenza
in una gara incerta, “tirata” sino alla fine in cui i Rockets hanno il possesso
per andare avanti a 4” dalla fine e poi la tripla per forzare il supplementare
all’ultimo istante. Ma i tiri di Alperen Sengun e Fred Van Vleet, i migliori
tra i texani, non entrano. E così Golden State sale 3-1 nella serie,
imponendosi persino la sera in cui Steph Curry, che ha appena vinto il Twyman
Award, il premio come migliore compagno di squadra Nba, riconoscimento alle sue
doti di giocatore spogliatoio, si limita al compitino, non riesce a mettere
l’impronta sulla partita del Chase Center. Houston domina sotto canestro, a
rimbalzo e attaccando il ferro avversario, ma paga il 19/31 in lunetta e
l’ennesima controprestazione di Jalen Green, finito addirittura in panchina in
volata.
Butler rientra dopo aver saltato Gara 3 per i postumi della rovinosa caduta di
Gara 2. Subito 13-2 Dubs, poi 28-26 dopo 12’. La tripla di Van Vleet vale
quindi il sorpasso ospite sul 32-31. Si scatena una mezza rissa generale
innescata da Dillon Brooks: falli tecnici a lui, Curry e Draymond Green. Poi il
diverbio è tra Dray Green (flagrant) e Eason (tecnico). Rockets avanti 57-50 a
fine primo tempo. Primi 24’ durati un’infinità tra review e tempi morti
cumulati. Sul parquet mazzate a scaramucce continue, zero ritmo. 13-0 di
parziale Warriors in avvio di 3° quarto e 68-58 sulla tripla di Hield. Come nel
primo tempo è di nuovo Van Vleet a riportare sotto i suoi. Poi Sengun, senza
Dray Green tra i piedi - ha 5 falli - straripa e riporta Houston sull’80-82
dopo 36’. Steven Adams, credeteci, fa ancora la differenza in difesa e a
rimbalzo. 104 pari con 1’19” da giocare: è volata appassionante. Butler segna 3
tiri liberi, sul -1 Houston ha comunque il possesso per vincere. Sengun trova
il ferro, non la retina. Butler svetta a rimbalzo e segna i liberi decisivi
perché poi il tiro della disperazione di Van Vleet rimane corto. Dubs con le
mani sulla serie.
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