venerdì 13 marzo 2015

L'architetto di Treviso: Gracis, dal Gymnasium all'NBA e ritorno

da sito ufficiale Treviso Basket 2012:


L’ARCHITETTO DI TVB: ANDREA GRACIS, DAL GYMNASIUM ALL’NBA E RITORNO

Umiltà ed impegno: insegna il Direttore Sportivo Andrea Gracis, l’architetto estivo di questa TVB capolista. E’ una delle immagini di questa De Longhi TVB vincente, un trevigiano vero che nella sua fulgida carriera ha dimostrato serietà, applicazione, idee chiare e grande competenza. E pensare che da piccolo preferiva il calcio…

Da bambino preferivo il calcio ed infatti iniziai dando calci ad un pallone. Ero una buona ala sinistra ed arrivò un’offerta dal Treviso Calcio, ma mio padre pose il veto, perché non gli piaceva l’ambiente. Inoltre giocavo anche a tennis, mi piaceva, ma preferivo gli sport di squadra e così quindi la scelta finale ricadde sulla pallacanestro: avevo il canestro in casa, costruito da mio padre, e, complici le spinte degli amici e dei miei fratelli che giocavano, a 12 anni iniziai con la pallacanestro, al Gymnasium, dove ha cominciato anche Paolo Vazzoler.
Le tua passione e la tua propensione per i diversi sport come hanno segnato la tua carriera?
Credo che il legame tra calcio, tennis e basket sia sempre stata la competitività. Mi piaceva sì giocare, ma ho sempre voluto vincere.”
La carriera prosegue sino allo spartiacque del 1983, quando Andrea lascia Venezia per andare a Pesaro.
Il passaggio fu traumatico. Dopo 3 anni a Venezia, ero stato venduto a Pesaro: ero stato costretto ad andare, mi sono sentito scaricato. E appunto, alla prima esperienza lontano da casa, subii molto questa situazione: Pesaro è una città che sin da allora viveva di basket e, nella mia riservatezza, questo clamore mi infastidiva. Inoltre avevo ritrovato in corso d’opera Aza Nikolic, un allenatore già avuto a Venezia che purtroppo non mi vedeva: fu difficile anche dal punto di vista tecnico e i primi 2/3 anni furono complicati, tanto che avrei voluto tornare vicino a casa. Con il passare del tempo però ho iniziato a capire la gente di Pesaro ed è nato un rapporto stupendo: nel ’88 ho vinto il primo scudetto ed è nato mio figlio Alessio, nel ’90 sono arrivati mia figlia Martina e il secondo titolo italiano. E’ stato un periodo indimenticabile e di crescita incredibile, considerato che sono rimasto lì dai 23 ai 34 anni: la gente mi ha apprezzato soprattutto per il mio spirito, la mia dedizione. Ed ora è rimasta grande riconoscenza nei confronti miei e dei miei compagni, accentuata dal fatto che, dopo quelle vittorie, Pesaro non ha vinto nulla: ogni volta che mi vedono a Pesaro mi dicono <>.
Poi è arrivata la chiamata di coach D’Antoni a Treviso: un rapporto che si è consolidato qualche anno prima, quando Andrea e D’Antoni erano compagni di stanza in Nazionale.
“Erano gli Europei del ’89 ed era da poco passato l’episodio della monetina lanciata a Meneghin (a Pesaro Dino Meneghin, allora giocatore di Milano, fu colpito da una moneta nella gara1 di semifinale playoff e successivamente ammise di aver inscenato un infortunio grave per far pagare un prezzo salato a Pesaro e a chi precedentemente lo avevo colpito e insultato: Pesaro vinse sul campo, ma la giustizia sportiva diede la vittoria a tavolino della gara a Milano, poi campione d’Italia, ndr). Io e Mike arrivammo per ultimi al ritiro della Nazionale e c’era il bisogno di chiarire immediatamente la questione, visto che D’Antoni giocava a Milano con Meneghin. Salimmo insieme in ascensore e ne parlammo subito. Mike mi disse: <>. E da lì costruimmo un grande rapporto: nutro grande affetto e stima nei suoi confronti. A Treviso? Tornai a casa nel 1994. Gli chiesi perché volesse me e la sua risposta fu chiara e convincente: <>. Firmai e sono davvero felice di aver chiuso la carriera a casa, alzando lo scudetto da capitano: mi ha dato un senso di pienezza quel successo, poiché finalmente avevo vinto qualcosa di importante nella mia città.”
Una serata esaltante, come la carriera “dietro la scrivania” di Gracis , culminata nell’esperienza come scout dei Sacramento Kings.
“E’ stata un’avventura entusiasmante, grazie alle persone con cui l’ho vissuta: ho trovato persone veramente leali nel presidente Petrie e nel vicepresidente Cooper. Monitoravo i campionati europei ed è stato stupendo viaggiare. Qualche incontro particolare? Ho lavorato a stretto contatto con Abdul-Rahim(ex giocatore NBA, ndr), una grande persona, e poi ho incrociato mostri sacri quali Larry Bird, Micheal Jordan, Danny Ainge: ritrovarsi nello stesso contesto lavorativo insieme a queste personalità è stata una grande emozione.
Un giocatore che senti di aver scoperto in questa esperienza?
“E’ un lavoro particolare, non si scoprono i giocatori, perché i prospetti sono sotto gli occhi di tutti: la differenza la fa la valutazione del singolo scout su ciò che un giocatore potenzialmente può fare. Se però devo dire un giocatore di cui ero fortemente convinto e per il quale ho molto insistito con il mio capo è Giannis Antetokounmpo: l’avevo visto in Grecia e lo vidi poi insieme al mio capo ad un torneo a Jesolo con la maglia della nazionale greca. Avemmo un colloquio, avemmo entrambi un’ottima impressione e lo misi in cima alla lista dei giocatori osservati: se fossi stato in Sacramento, l’avrei scelto al Draft. Poi però ci fu il passaggio di proprietà ai Kings e, nonostante avessimo lasciato il nostro report alla nuova proprietà, ci dissero che non erano interessati e fecero altre scelte, ma continuo a credere che sia un gran prospetto. Un altro giocatore che mi piaceva molto era Goran Dragic: inizialmente era un po’ sottovalutato, ora sta facendo un’ottima carriera.”
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, hai fatto anche una maratona..
“Nel 2000 ho corso la maratona di New York. Mio cugino insistette perché andassimo a farla e mi decisi: avevo appena smesso di giocare e cominciai ad allenarmi. Ad un mese prima della partenza sentii un dolore forte al ginocchio, così nelle ultime settimane smisi di allenarmi e feci soltanto terapie. Ed è stata un’esperienza meravigliosa: ho corso 3 ore e mezza, ho fatto 30 chilometri arrivando a Manhattan e fui costretto a ritirarmi per il dolore lancinante al ginocchio. Non riuscivo nemmeno a camminare, ma rimane un’esperienza bellissima, soprattutto per la gente che incitava chiunque passasse.”
Da qualche tempo ti occupi anche di coaching: di cosa si tratta?
“E’ un attività che si può fare con qualsiasi tipo di persona: aiuta la persona a tirar fuori le risorse che ha dentro di sè, a prenderne consapevolezza. E’ qualcosa che si richiama al conosci te stesso iscritto nel tempio di Apollo a Delfi e all’arte della maieutica: un coach aiuta la persona a “tirar fuori” il meglio di se. Questi argomenti mi avevano appassionato ai tempi del Liceo Classico e mi sono stati utili quando ero giocatore e cercavo appunto di conoscermi, proprio per esprimere il massimo delle mie potenzialità.
Quindi, quando sono venuto a conoscenza del coaching, l’ho approfondito ed ho fatto una scuola di coaching, innanzitutto per me e perché potesse magari diventare una qualche forma di professione: dopo due anni di corsi ed interventi, sono diventato coach certificato. E’ qualcosa che continuo a coltivare e che mi serve tuttora nel mio lavoro di direttore sportivo.” 
Gli studi classici continui a coltivarli?
“Lo studio del greco e del latino mi hanno appassionato. La cultura greca e latina mi hanno segnato e credo che siano state basi fondamentali per la mia crescita personale: mi piace riprendere certi libri, penso a Catullo, a Seneca. Quei ricordi del liceo sono molto presenti in me: sono davvero felice di aver frequentato il Classico.”
Tornando alla pallacanestro, a quale tua squadra del passato ti sei ispirato per costruire questa De Longhi?
“Innanzitutto è una squadra che abbiamo costruito, insieme. Il primo passo è stato scegliere l’allenatore e, su questo aspetto, sono contento di aver insistito per avere Stefano Pillastrini qui a Treviso: grazie a tutto lo staff societario, l’obiettivo è stato raggiunto.
E da lì la squadra è stata costruita: non ci siamo ispirati ad una squadra, bensì siamo partiti da un principio, ovvero la scelta delle persone. Per quello che si riusciva a sapere, cercavamo ragazzi che fossero umanamente validi: l’analisi di ogni singolo giocatore l’abbiamo fatta sia dal punto di vista tecnico che umano. E credo che sinora siamo stati ripagati da ragazzi che hanno dimostrato qualità morali profonde.”
Treviso può stare al sicuro: l’esperienza e la competenza del suo Direttore Sportivo sono una garanzia. In giro per il mondo possono soltanto confermare.


Mario De Zanet

Nessun commento:

Posta un commento