Esiste una contraddizione che distingue le storie più
belle da tutte le altre: da un lato, non vedi l'ora di capire come andranno a
finire, dall'altro vorresti che durassero per sempre.
Nella mattinata americana del 26 Gennaio 2020, dopo un terribile schianto col suo Sikorsky S-76B, è morto, a soli 41 anni, Kobe Bryant, e con esso altre 8 persone, tra le quali la sua seconda figlia, Gianna Maria-Onore, appena tredicenne.
Una notizia che ha schockato non solo il mondo del basket e dello sport, ma il mondo in generale, letteralmente spiazzato e svuotato.
Come quando muore un amico, un parente, qualcuno di famiglia, perchè un personaggio del genere ti entra dentro, diventa parte di te, e pensi che non se ne possa andare mai.
Perchè ci ha accompagnato per oltre 25 anni con le sue giocate, in una carriera che gli ha visto vincere 5 titoli NBA, due ori olimpici e un oro ai Fiba Americas Championship con Usa Team, oltre a svariati riconoscimenti personali (MVP della stagione nel 2008, 2 volte MVP delle Finals, 2 volte capocannoniere della Lega, 11 volte primo quintetto, 9 volte miglior quintetto difensivo, 18 volte convocato all'All Star Game, con 4 titoli di MVP, vincitore dello Slam Dunk Contest nel 1997, 4° miglior realizzatore ogni epoca della Lega con 33.643 punti, quarto miglior realizzatore ogni epoca dei Play Off con 5.640 punti).
Una storia che è quasi iniziata in Italia, dove ha vissuto per 7 anni seguendo papà Joe, che tra il 1984 e il 1991 ha giocato a Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, e ha mosso i primi passi in quello che non sarebbe diventato solo il suo sport, ma la sua vera e autentica ossessione.
Per molti Bryant è considerato il miglior cestista di sempre dopo Michael Jordan, e una delle ossessioni di Kobe era proprio "His Airness", un “mostro” sempre più grande che involontariamente ha sublimato la più grande dote per uno sportivo: l’etica del lavoro.
Il mito di "MJ" ha accompagnato Bryant per tutta la sua carriera, dalla adolescenziale lingua di fuori o dai primi “fade-away” imitando il suo idolo, sino alla piena maturità cestistica, un percorso che ha il denominatore comune di un’estenuante ricerca del miglioramento, del superare i propri limiti.
Sin da bambino appunto, quando dopo una botta al ginocchio non grave venne trovato in lacrime, perchè un infortunio poteva precludergli l'approdo in NBA, e giù risate degli allora piccoli compagni.
Eppure di anni ne sono passati appena 5 da questo episodio, perchè dopo essere tornato in America e aver vinto il titolo statale con la sua Lower Marion High School, oltre ad aver frantumato il record di punti totali della scuola precedentemente appartenuto a tale Wilt Chamberlain, decide di saltare il college (Kentucky e Duke avrebbero fatto carte false per averlo) e rendersi eleggibile al Draft NBA del 1996.
Lo selezionano, alla 13° pick assoluta, gli Charlotte Hornets che, però, non gli diedero neanche il tempo di mettersi il cappellino per la foto di rito con l'allora (compianto) Commissioner David Stern, che già l'avevano ceduto ai Los Angeles Lakers in cambio di Vlade Divac. Chissà se l'allora dirigenza degli Hornets è riuscita a dormire per due notti di fila.
Il 13 Novembre 1996 inizierà la sua avventura coi Lakers: una storia che durerà 20 anni e 1.566 partite complessive (1.346 in Regular Season e 220 nei Play Off).
Dopo un inizio normale arriva il periodo 1999-2004: l'estate del 1999 è quella della svolta, o una delle svolte nella carriera di Kobe, perchè i Lakers assumono, come capo allenatore, Phil Jackson.
"Coach Zen" importa i principi offensivi e di gestione che gli hanno permesso di vincere 6 titoli con i Chicaco Bulls, Bryant accetta la "Thriangle Post Offense" e l'idea di essere comunque il centro di gravità permanente, ma di farlo assieme ai compagni e soprattutto assieme a Shaquille O'Neal, l'altra stella assoluta della squadra.
Vinceranno tre titoli consecutivi (2000-2001-2002), emulando i Bulls in un "Three Peat", oltre ad arrivare in Finale nel 2004, arrendendosi al ritorno dei "Bad Boys" di Detroit.
Intanto, il 30 Giugno 2003, accade qualcosa che minerà le certezze dell'allora venticinquenne Kobe: il "Black Mamba", come verrà soprannominato in seguito, deve alloggiare al Cordillera Lodge & Spa di Edwards, Colorado, perchè il giorno successivo deve operarsi al ginocchio.
Durante il suo soggiorno viene intrattenuto da una delle receptionist dell'albergo (Katalyn Faber, ai tempi diciannovenne), con la quale avrà una relazione (sempre ammessa dal campione): lei, però, il giorno dopo, va alla polizia e lo accusa di stupro.
Un'accusa infamante, che rischia di far saltare anche il matrimonio con Vanessa Laine, che ha sposato 2 anni prima. Bryant viene arrestato il 4 Luglio (senza che le forze dell'ordine intervengano si presenta volontariamente al Commissariato di Eagle), e successivamente rilasciato dietro una cauzione di 25.000 dollari; il 12 Gennaio 2013 la procedura viene annullata e la storia, finalmente, chiusa.
Intanto i Lakers attraversano il classico periodo di transizione, lui vola da un lato all'altro degli States per rispondere alle accuse a lui rivolte, ma ciò non gli impedisce, il 22 Gennaio 2006, di stabilire la seconda miglior prestazione realizzativa, in una gara, nella storia della NBA, perchè segna 81 punti nella vittoria dei Lakers contro i Raptors, solo l'inarrivabile Chamberlain, coi 100 punti datati 2 Marzo 1962, gli sta davanti.
22 Gennaio 2006, l'equivalente cestistico del passaggio della Cometa di Halley, un evento tanto unico che per assistere a qualcosa di simile bisognerà attendere decine di anni, forse.
L'estate del 2007 segna la seconda svolta nella sua vita da "Laker": sembra imminente la sua cessione (Twolves e Bulls erano pronte e vendersi un rene pur di prenderlo), ma non se ne fa niente, resta in giallo/viola, e a fargli compagnia, nel Febbraio 2008, arriva Pau Gasol, con il quale costituisce un poker di tutto rispetto assieme a Derek Fisher e Lamar Odom, ai quali si aggiungerà Ron Artest (o Metta Wordl Peace, o Panda's Friend).
Torna, veemente, l'antica e atavica rivalità coi Boston Celtics, che vinceranno, però, il titolo nel 2008 al termine di una serie di finali selvaggia.
Si presenta in lacrime davanti alle telecamere dopo la sconfitta, il suo non è un atteggiamento di facciata, perchè lui non gioca a pallacanestro, la vive.
Si tormenta chiedendosi come arrivare alla perfezione, che sa essere irraggiungibile, ma alla quale non riesce a rinunciare. Senza quell'orizzonte non ha senso giocare ed è impossibile crescere.
Nella mattinata americana del 26 Gennaio 2020, dopo un terribile schianto col suo Sikorsky S-76B, è morto, a soli 41 anni, Kobe Bryant, e con esso altre 8 persone, tra le quali la sua seconda figlia, Gianna Maria-Onore, appena tredicenne.
Una notizia che ha schockato non solo il mondo del basket e dello sport, ma il mondo in generale, letteralmente spiazzato e svuotato.
Come quando muore un amico, un parente, qualcuno di famiglia, perchè un personaggio del genere ti entra dentro, diventa parte di te, e pensi che non se ne possa andare mai.
Perchè ci ha accompagnato per oltre 25 anni con le sue giocate, in una carriera che gli ha visto vincere 5 titoli NBA, due ori olimpici e un oro ai Fiba Americas Championship con Usa Team, oltre a svariati riconoscimenti personali (MVP della stagione nel 2008, 2 volte MVP delle Finals, 2 volte capocannoniere della Lega, 11 volte primo quintetto, 9 volte miglior quintetto difensivo, 18 volte convocato all'All Star Game, con 4 titoli di MVP, vincitore dello Slam Dunk Contest nel 1997, 4° miglior realizzatore ogni epoca della Lega con 33.643 punti, quarto miglior realizzatore ogni epoca dei Play Off con 5.640 punti).
Una storia che è quasi iniziata in Italia, dove ha vissuto per 7 anni seguendo papà Joe, che tra il 1984 e il 1991 ha giocato a Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, e ha mosso i primi passi in quello che non sarebbe diventato solo il suo sport, ma la sua vera e autentica ossessione.
Per molti Bryant è considerato il miglior cestista di sempre dopo Michael Jordan, e una delle ossessioni di Kobe era proprio "His Airness", un “mostro” sempre più grande che involontariamente ha sublimato la più grande dote per uno sportivo: l’etica del lavoro.
Il mito di "MJ" ha accompagnato Bryant per tutta la sua carriera, dalla adolescenziale lingua di fuori o dai primi “fade-away” imitando il suo idolo, sino alla piena maturità cestistica, un percorso che ha il denominatore comune di un’estenuante ricerca del miglioramento, del superare i propri limiti.
Sin da bambino appunto, quando dopo una botta al ginocchio non grave venne trovato in lacrime, perchè un infortunio poteva precludergli l'approdo in NBA, e giù risate degli allora piccoli compagni.
Eppure di anni ne sono passati appena 5 da questo episodio, perchè dopo essere tornato in America e aver vinto il titolo statale con la sua Lower Marion High School, oltre ad aver frantumato il record di punti totali della scuola precedentemente appartenuto a tale Wilt Chamberlain, decide di saltare il college (Kentucky e Duke avrebbero fatto carte false per averlo) e rendersi eleggibile al Draft NBA del 1996.
Lo selezionano, alla 13° pick assoluta, gli Charlotte Hornets che, però, non gli diedero neanche il tempo di mettersi il cappellino per la foto di rito con l'allora (compianto) Commissioner David Stern, che già l'avevano ceduto ai Los Angeles Lakers in cambio di Vlade Divac. Chissà se l'allora dirigenza degli Hornets è riuscita a dormire per due notti di fila.
Il 13 Novembre 1996 inizierà la sua avventura coi Lakers: una storia che durerà 20 anni e 1.566 partite complessive (1.346 in Regular Season e 220 nei Play Off).
Dopo un inizio normale arriva il periodo 1999-2004: l'estate del 1999 è quella della svolta, o una delle svolte nella carriera di Kobe, perchè i Lakers assumono, come capo allenatore, Phil Jackson.
"Coach Zen" importa i principi offensivi e di gestione che gli hanno permesso di vincere 6 titoli con i Chicaco Bulls, Bryant accetta la "Thriangle Post Offense" e l'idea di essere comunque il centro di gravità permanente, ma di farlo assieme ai compagni e soprattutto assieme a Shaquille O'Neal, l'altra stella assoluta della squadra.
Vinceranno tre titoli consecutivi (2000-2001-2002), emulando i Bulls in un "Three Peat", oltre ad arrivare in Finale nel 2004, arrendendosi al ritorno dei "Bad Boys" di Detroit.
Intanto, il 30 Giugno 2003, accade qualcosa che minerà le certezze dell'allora venticinquenne Kobe: il "Black Mamba", come verrà soprannominato in seguito, deve alloggiare al Cordillera Lodge & Spa di Edwards, Colorado, perchè il giorno successivo deve operarsi al ginocchio.
Durante il suo soggiorno viene intrattenuto da una delle receptionist dell'albergo (Katalyn Faber, ai tempi diciannovenne), con la quale avrà una relazione (sempre ammessa dal campione): lei, però, il giorno dopo, va alla polizia e lo accusa di stupro.
Un'accusa infamante, che rischia di far saltare anche il matrimonio con Vanessa Laine, che ha sposato 2 anni prima. Bryant viene arrestato il 4 Luglio (senza che le forze dell'ordine intervengano si presenta volontariamente al Commissariato di Eagle), e successivamente rilasciato dietro una cauzione di 25.000 dollari; il 12 Gennaio 2013 la procedura viene annullata e la storia, finalmente, chiusa.
Intanto i Lakers attraversano il classico periodo di transizione, lui vola da un lato all'altro degli States per rispondere alle accuse a lui rivolte, ma ciò non gli impedisce, il 22 Gennaio 2006, di stabilire la seconda miglior prestazione realizzativa, in una gara, nella storia della NBA, perchè segna 81 punti nella vittoria dei Lakers contro i Raptors, solo l'inarrivabile Chamberlain, coi 100 punti datati 2 Marzo 1962, gli sta davanti.
22 Gennaio 2006, l'equivalente cestistico del passaggio della Cometa di Halley, un evento tanto unico che per assistere a qualcosa di simile bisognerà attendere decine di anni, forse.
L'estate del 2007 segna la seconda svolta nella sua vita da "Laker": sembra imminente la sua cessione (Twolves e Bulls erano pronte e vendersi un rene pur di prenderlo), ma non se ne fa niente, resta in giallo/viola, e a fargli compagnia, nel Febbraio 2008, arriva Pau Gasol, con il quale costituisce un poker di tutto rispetto assieme a Derek Fisher e Lamar Odom, ai quali si aggiungerà Ron Artest (o Metta Wordl Peace, o Panda's Friend).
Torna, veemente, l'antica e atavica rivalità coi Boston Celtics, che vinceranno, però, il titolo nel 2008 al termine di una serie di finali selvaggia.
Si presenta in lacrime davanti alle telecamere dopo la sconfitta, il suo non è un atteggiamento di facciata, perchè lui non gioca a pallacanestro, la vive.
Si tormenta chiedendosi come arrivare alla perfezione, che sa essere irraggiungibile, ma alla quale non riesce a rinunciare. Senza quell'orizzonte non ha senso giocare ed è impossibile crescere.
Il seme però è piantato, il titolo arriva nel 2009 (dominati gli Orlando
Magic), ma la vendetta è un piatto che va servito freddo, e il 2010 regala, al
"Mamba", la rivincita contro gli odiati Celtics.
Come due anni prima, senza esclusione di colpi, servono 7 battaglie, ma sorridono i californiani, 5° anello al dito per Kobe, il dado è tratto.
Quella serie di finale verrà anche ricordata per quello che accade in gara 5: si gioca a Boston, i Celtics vinceranno quella partita, il "Mamba" segna 23 dei suoi 38 punti nel terzo quarto, e saranno 23 punti consecutivi. Quella prestazione, che verrà ribattezzata "Alone on the Island" (Da solo sull'isola), non sarà la migliore di sempre per un avversario al "TD Garden" solo perchè, il 20 Aprile 1986, Dio decise di travestirsi da Michael Jordan.
Tutto sembra apparecchiato per il secondo "Three Peat", e quindi emulare Jordan (che riuscirà a superare nella classifica dei realizzatori "All Times" della Lega), ma arriva l'inaspettato k.o. in semifinale di Conference, per mano dei Dallas Mavericks, futuri campioni.
E' l'inizio del declino, l'estate del 2011 è quella della rivoluzione, ma i nuovi arrivi non portano l'entusiasmo sperato, e gli Oklahoma City Thunder della nuova stella Kevin Durant pongono fine all'epopea dei Lakers nei Play Off del 2012.
L'anno successivo deve far fronte al grave infortunio, perchè si rompe il tendine d'Achille (ma ciò non gli impedisce di correre, lungo Santa Monica, appena 4 mesi dopo il fatto), quindi la decisione di smettere, con l'ultima stagione che è un lungo "farewell tour", che si conclude il 13 Aprile 2016, quando allo Staples Center (che in seguito vedrà campeggiare, sul suo soffitto, entrambe le sue maglie, la numero 8 e la numero 24, entrambe ritirate), spazza letteralmente via gli Utah Jazz con 60 punti, che ovviamente è record per punti realizzati da un giocatore nel giorno della sua ultima partita giocata.
"What Can I Say...MAMBA OUT!"
Come due anni prima, senza esclusione di colpi, servono 7 battaglie, ma sorridono i californiani, 5° anello al dito per Kobe, il dado è tratto.
Quella serie di finale verrà anche ricordata per quello che accade in gara 5: si gioca a Boston, i Celtics vinceranno quella partita, il "Mamba" segna 23 dei suoi 38 punti nel terzo quarto, e saranno 23 punti consecutivi. Quella prestazione, che verrà ribattezzata "Alone on the Island" (Da solo sull'isola), non sarà la migliore di sempre per un avversario al "TD Garden" solo perchè, il 20 Aprile 1986, Dio decise di travestirsi da Michael Jordan.
Tutto sembra apparecchiato per il secondo "Three Peat", e quindi emulare Jordan (che riuscirà a superare nella classifica dei realizzatori "All Times" della Lega), ma arriva l'inaspettato k.o. in semifinale di Conference, per mano dei Dallas Mavericks, futuri campioni.
E' l'inizio del declino, l'estate del 2011 è quella della rivoluzione, ma i nuovi arrivi non portano l'entusiasmo sperato, e gli Oklahoma City Thunder della nuova stella Kevin Durant pongono fine all'epopea dei Lakers nei Play Off del 2012.
L'anno successivo deve far fronte al grave infortunio, perchè si rompe il tendine d'Achille (ma ciò non gli impedisce di correre, lungo Santa Monica, appena 4 mesi dopo il fatto), quindi la decisione di smettere, con l'ultima stagione che è un lungo "farewell tour", che si conclude il 13 Aprile 2016, quando allo Staples Center (che in seguito vedrà campeggiare, sul suo soffitto, entrambe le sue maglie, la numero 8 e la numero 24, entrambe ritirate), spazza letteralmente via gli Utah Jazz con 60 punti, che ovviamente è record per punti realizzati da un giocatore nel giorno della sua ultima partita giocata.
"What Can I Say...MAMBA OUT!"
Una volta svestiti i panni del giocatore inizia a ragionare da imprenditore: presta consulenze agli atleti professionisti per gestire la transizione di fine carriera.
E' particolarmente abile negli investimenti, rilevando azioni in Epic Games (la società che ha sviluppato il celebre videogame Fortinite), Alibaba Group e nel marchio di bevande energetiche Body Armour.
La lettera con cui annunciò il proprio ritiro al basket nel 2015 fu convertita in un cortometraggio animato intitolato “Dear Basketball”.
Nel Gennaio 2018 venne annunciato che la lettera sarebbe stata candidata all'Oscar come miglior cortometraggio d’azione: il 4 Marzo 2018 la pellicola vinse la statuetta, rendendo Kobe il primo sportivo in assoluto a vincere tale premio.
Il progetto che ha più a cuore, però, è la "Mamba Sports Academy", che lui stesso definisce come "un'espansione naturale del mio impegno nell'educare e dare potere alle prossime generazioni attraverso lo sport".
E' particolarmente abile negli investimenti, rilevando azioni in Epic Games (la società che ha sviluppato il celebre videogame Fortinite), Alibaba Group e nel marchio di bevande energetiche Body Armour.
La lettera con cui annunciò il proprio ritiro al basket nel 2015 fu convertita in un cortometraggio animato intitolato “Dear Basketball”.
Nel Gennaio 2018 venne annunciato che la lettera sarebbe stata candidata all'Oscar come miglior cortometraggio d’azione: il 4 Marzo 2018 la pellicola vinse la statuetta, rendendo Kobe il primo sportivo in assoluto a vincere tale premio.
Il progetto che ha più a cuore, però, è la "Mamba Sports Academy", che lui stesso definisce come "un'espansione naturale del mio impegno nell'educare e dare potere alle prossime generazioni attraverso lo sport".
Un essere speciale, non solo un cestista speciale.
Un fuoriclasse, un personaggio controverso, capace di
unire e dividere almeno tre generazioni di sportivi e appassionati.
Un campione che nascondeva un atavico problema, che
interpretava la pallacanestro con la foga e la ferocia di chi doveva
emanciparsi a tutti i costi, non accorgendosi che stava già diventando il
numero uno.
Ore e ore in palestra ad allenarsi, anche prima e dopo l’allenamento, e sono
sicuro che Kobe avrebbe vissuto il post attività agonistica con la stessa,
seppur mitigata, ossessione; perché nella testa di un perfezionista non
c’è pace, l’accontentarsi non fa parte del personale vocabolario.
Ad iniziare dalla voglia di aiutare il basket italiano a rialzarsi, accettando con entusiasmo l’idea di Gianni Petrucci di farlo diventare un simbolo della nostra risalita.
Qualcuno ha detto che la morte è un passaggio necessario per fare di un eroe una leggenda, mi piace pensare che ora, ancora di più, vivrai tra gli Dei del basket, quelli che non hanno età, quelli che vivono per sempre, senza piegarsi all’inevitabile incedere del tempo.
Un eroe classico è uno che il mondo lo deve lasciare presto. Perchè quegli stessi Dei tormentano chi vedono, e tu eri veramente visibile.
Every step I take, every move I make, every single day, every time I pray, I'll be missing you…
Buon viaggio Kobe.
Ad iniziare dalla voglia di aiutare il basket italiano a rialzarsi, accettando con entusiasmo l’idea di Gianni Petrucci di farlo diventare un simbolo della nostra risalita.
Qualcuno ha detto che la morte è un passaggio necessario per fare di un eroe una leggenda, mi piace pensare che ora, ancora di più, vivrai tra gli Dei del basket, quelli che non hanno età, quelli che vivono per sempre, senza piegarsi all’inevitabile incedere del tempo.
Un eroe classico è uno che il mondo lo deve lasciare presto. Perchè quegli stessi Dei tormentano chi vedono, e tu eri veramente visibile.
Every step I take, every move I make, every single day, every time I pray, I'll be missing you…
Buon viaggio Kobe.
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