Quel muro era alto 12 anni. E tante delusioni. Boston l’ha superato nel modo più difficile, vincendo gara 7 a Miami dopo aver mancato il primo match point in casa. E adesso è alle Finals, a giocare per il titolo per la prima volta dal 2010.
“Finalmente” dice con un sospiro di sollievo Marcus Smart, uno degli eroi di questa squadra, di questa vittoria. E’ il veterano di un gruppo che a gennaio sembrava da buttare, e che da giovedì contenderà il Larry O’Brien Trophy ai Golden State Warriors. L’ultimo atto delle finali a Est è stato degno di una serie equilibrata, tra due squadre ammaccate che condividono gli stessi punti di forza: difesa e gruppo. Boston ha vinto 100-96, davanti dall’inizio alla fine ma quasi buttando 13 punti di vantaggio. Ha vinto grazie a Jayson Tatum, mvp della serie nel nome di Larry Bird (a cui è dedicato il nuovo trofeo di migliore della finale a Est) e di Kobe Bryant, l’idolo che l’ha ispirato. Miami si arrende nonostante i 35 punti di Jimmy Butler, in campo per tutta la partita e per l’errore sul tiro che, a 16” dalla fine, poteva cambiare tutto.
I campioni dell’Est sono una squadra da battaglia. Sembra passata un’eternità da gennaio, da quando i Celtics hanno cominciato il 2022 con un record perdente, apparentemente intrappolati in una stagione di transizione e con le due star Tatum e Brown che radio mercato voleva prossime alla separazione. Non solo non è successo, ma Boston si è trasformata: è diventata la miglior difesa Nba, la miglior squadra a Est da gennaio in poi, capace nei playoff di superare Brooklyn, Milwaukee e ora Miami. Ime Udoka, cresciuto all’ombra di Gregg Popovich e al primo anno da head coach, ha toccato le corde giuste. E Boston è sbocciata.
Brown, Tatum e Smart insieme hanno prodotto 74 punti quasi equamente spartiti, hanno fatto la differenza in attacco, hanno dato a Boston quello di cui aveva bisogno. Come Al Horford, determinante ben oltre i 14 rimbalzi a referto con la sua leadership e il suo esempio. I Celtics hanno battuto Miami di squadra, con la forza del gruppo hanno superato quella che stava diventando una maledizione. È un messaggio chiaro: questo gruppo che a gennaio sembrava da buttare ha spezzato la maledizione Finals. E non si accontenta.
Miami cade dopo aver dato battaglia. Cade convinta che ci è mancato poco, quel tiro di Butler respinto dal ferro con 16” sul cronometro. Aveva abbastanza per vincere. Gli infortuni sono l’alibi che in casa Heat nessuno cerca (vale per Butler e per Lowry, per Herro e per Tucker), ma sono comunque un alibi. La squadra di Spoelstra aveva fatto l’impresa a Boston in gara 6 con triple e forza di volontà: la seconda l’ha avuta anche nella bella, ma il tiro da fuori (6/30) è mancato. È una delle ragioni della sconfitta, uno dei motivi per cui la squadra che ha chiuso la regular season col record migliore della conference guarderà le Finals in tv.
L’inizio di Boston è prepotente (32-17 alla prima sirena), ma Butler diventa inarrestabile nel secondo quarto (18 punti) e Miami all’intervallo è sotto 55-49. Gli Heat accorciano ulteriormente in avvio di ripresa, ma ogni volta che sono vicini anziché completare la rimonta commettono errori in quello che diventa il leitmotiv della ripresa. I Celtics allungano di nuovo nel quarto periodo, cominciato avanti 82-75, hanno la partita in mano quando Smart dalla lunetta fa 98-85 a 3’35” dalla fine. Miami però ha ancora voglia di lottare e con una tripla di Strus arriva sul 98-96 con un parziale aperto di 11-0. Butler scatta in contropiede, ma con 16” sul cronometro anziché la penetrazione del pareggio sceglie la tripla del sorpasso: il ferro dice no, Smart nel possesso successivo chiude i conti. E manda Boston al suo appuntamento con la storia.
Miami Heat – Boston Celtics 96-100 (3-4)
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