Miami in finale di Conference, a Est. Domina Philadelphia a domicilio 99-90 chiudendo la serie di secondo turno playoff 4-2. Butler è il solito trascinatore, Strus la carta a sorpresa di serata, ma sono soprattutto l’organizzazione di gioco, l’intensità e la vocazione corale che fanno la differenza. Gli Heat sono più squadra, compatti e meglio allenati. Merito di Coach Spoelstra, di Pat Riley e Jimmy Buckets, il capobranco giusto per qualsiasi franchigia ambiziosa. Nona finale di Conference di franchigia, seconda negli ultimi tre anni. Aspettano ora la vincente di Milwaukee-Boston, avranno in ogni caso il fattore campo favorevole, da testa di serie numero 1 a Est.
La stagione dei 76ers si chiude ancora una volta allo stesso capolinea: la semifinale di Conference. Per la quarta volta negli ultimi cinque anni. Fa male soprattutto il come, ai tifosi. E’ mancata l’intensità, la voglia di lottare, di rifiutarsi di perdere. Spazzati via da Butler, un tempo neanche troppo lontano ripudiato, gli fu preferito Simmons. Travolti con un Harden addirittura indisponente, ridicolizzato in difesa, senza punti nel secondo tempo, quando si è preso appena due tiri. Passivo, è parso quasi disinteressato, certo svogliato. Embiid ha dato tutto, ma ha finito la benzina dopo un tempo, stremato e acciaccato. Il 7/24 al tiro parla chiaro. Mai trovato sotto canestro, dove fa più male. Coach Rivers dovrà dare spiegazioni tecniche e caratteriali, Philly non aveva meno talento di Miami in organico.
Lowry fuori, in quintetto per gli Heat c’è Vincent. Dopo 3’ si fa male Danny Green, al ginocchio sinistro, travolto da Embiid. Fuoco amico. 28-25 Miami dopo 12’, con la tripla di Harris sulla sirena. 9 punti per Strus, a sorpresa. Embiid con la maschera per proteggere il volto dopo il recente infortunio. Herro, il sesto uomo dell’anno, segna 10 punti dalla panchina in un battibaleno. 49-48 Miami a metà gara. Strus, addirittura miglior marcatore dei suoi con ben 16 punti, 14 ma con 14 tiri per Embiid, sistematicamente raddoppiato, che finisce spesso per terra, chiaramente non al meglio, ma commovente per abnegazione. Segna triple, invece di dominare da sotto. Brutto segno. Thybulle in quintetto a inizio ripresa, senza lasciare traccia. La schiacciata di Butler vale il 60-50. Sono i 14 punti nel quarto di Jimmy Buckets a scatenare il parziale di 16-2 del +16 Miami. Philly non fa più canestro. E arrivano i boo del Wells Fargo Center di Philadelphia, implacabili. Perché i 76ers segnano appena 4 punti nei primi 7 minuti del terzo quarto. Un black out fatale. Milton a sorpresa prova a tenere a galla i suoi. 74-63 Heat dopo 36’. 76ers spalle al muro. Harden ne combina di tutti i colori, irriconoscibile. Addirittura +20 Miami sulla tripla di Butler. Finita, Philly neanche riesce a riportare il pubblico in partita. Sconfitta per k.o. tecnico.
Serve gara 7. Perché Luka Doncic è magico, un fenomeno che si esalta più il palcoscenico
diventa impegnativo. E perché Phoenix, che si presenta a Dallas con la chance
di chiudere i conti sul 4-2, si scioglie alla prima difficoltà, irriconoscibile
come Chris Paul, la sua stella polare. Serve gara 7, domenica in Arizona,
perché Dallas segue Doncic e gioca una partita perfetta, vinta 113-86
dominando. E si guadagna la bella, dove la pressione sarà tutta sui Suns, la
squadra che ha dominato la regular season e che improvvisamente si riscopre
meno speciale di quanto si era convinta di essere.
Doncic gioca con la stessa determinazione, chiude con 33 punti, 11 rimbalzi e 8
assist, coinvolge i compagni e li trascina. Gioca da fenomeno, da leader di una
squadra sempre più consapevole del proprio valore e del palcoscenico su cui si sta
esibendo. Oltre a Luka, i migliori in gara 6 sono stati Reggie Bullock, 19
punti con 5 triple e difesa super su Paul, Jalen Brunson (19 punti) e Spencer
Dinwiddie (18 punti e finalmente all’altezza). Sono gli stessi ingredienti che
Dallas dovrà usare in gara 7, per sbancare Phoenix.
I Suns si sono spenti all’improvviso, come se avessero
dimenticato come essere speciali, hanno sbagliato tutto il possibile: 22 palle
perse che hanno portato a 29 punti avversari, difesa incapace non solo di
contenere Doncic ma anche i suoi compagni, attacco stagnante impantanato al
39,7%. E Paul ombra di se stesso, come da gara 3 in poi: è come se da quando
venerdì scorso ha spento 37 candeline sulla torta si fosse spento
all’improvviso, tanto che nelle ultime 4 partite ha più palle perse (18) che
canestri (14). Serve che lui torni ad essere quel leader che ha portato Phoenix
fino a questo punto, che Booker brilli come non è riuscito a fare in gara 6 (19
punti ma 6/17 al tiro), che la difesa regga il confronto con Doncic. I Suns
avranno un alleato prezioso nella bella, uno che in questa serie ha sempre
fatto la differenza: il fattore campo.
Dopo 18’ di equilibrio, i Mavs spaccano la partita nel finale del secondo
quarto, arrivano al riposo avanti 60-45 con un parziale aperto di 19-4. Luka
inventa altre magie ad inizio ripresa, Phoenix non ci prova nemmeno e il
vantaggio dei Mavs si dilata fino a 22 punti, rendendo il quarto periodo una
lunga attesa per gara 7. Quella in cui Phoenix dovrà dimostrare di essere
ancora la squadra che è stata nettamente superiore a tutti in regular season. E
in cui Dallas chiederà un’altra magia al suo irresistibile fenomeno.
Philadelphia 76ers – Miami Heat 90-99 (2-4)
Dallas Mavericks – Phoenix Suns 113-86 (3-3)
Nessun commento:
Posta un commento